JODHPUR (INDIA)
Rischia di diventare l’Atlantide dell’India, Jodhpur. Un destino non improbabile in tempi di riscaldamento globale, in cui già numerose isole si sentono con l’acqua alla gola a causa dell’innalzamento degli oceani. Ma questo epilogo nel caso della città indiana avrebbe il sapore di un tragico paradosso. Perché non si trova a largo delle coste del subcontinente, ma nel pieno deserto del Thar. Eppure, tante e tanto vecchie sono le falle sotto il suo bacino idrico che il livello sotterraneo delle acque si è innalzato enormemente e la città, nel siccitoso Rajasthan, potrebbe essere inabissata da un momento all’altro. La meteorologia indiana, per ora, è dalla sua parte. Alla stagione dei monsoni mancano ancora mesi. Di questi tempi l’arrivo di piogge torrenziali, che peggiorerebbero la situazione, è improbabile quanto un sei al superenalotto vinto alla prima puntata. Non a caso, per il suo clima tutt’altro che londinese, Jodhpur è anche nota come «la città del Sole». Eppure, i suoi cittadini non riescono a dormire tranquilli.
Negli ultimi mesi la situazione è diventata allarmante: l’acqua è oramai a un metro dalla superficie terrestre e, secondo gli esperti, basterebbe anche un flebile movimento della terra per scatenare l’apocalisse. «Un tremore di limitata intensità potrebbe distruggere l’esistenza stessa della città», ha dichiarato sul quotidiano indiano Mail Today RP Mathur, direttore dell’ente per le acque sotterranee. E l’ipotesi di un terremoto, purtroppo, non è inverosimile da queste parti visto che il Rajasthan è zona sismica. Gli scantinati sommersi sono già numerosi. Di giorno in giorno le fondamenta dei palazzi si stanno trasformando in mollica, così molti cittadini sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Anche l’Alta Corte e il mercato principale sono stati fatti evacuare dopo che l’acqua si è fatta strada nei sotterranei. Come misura tampone, intanto, abitazioni e negozi di Jodhpur sono stati dotati di pompe per il drenaggio dell’acqua.
«L’acqua sta inondando gli scantinati nella zona del trafficato mercato, rovinando gli edifici e forzando i commercianti a lasciare i locali», ha avvertito il Centro di rilevamento sismico locale. Per ora l’unico a star tranquillo sembra essere il maestoso forte di Mehrangarh, che da sei secoli domina la città da un massiccio di 130 metri e attira turisti da ogni dove. Come ha spiegato il Times, le perdite provengono dal fondo del bacino di Kayalana-Takht Sagar, dove sono confluite altre riserve di acqua quando nel 1997, per far fronte ad una siccità, è stato deviato un canale. Di questo colabrodo sotterraneo gli esperti accusano le autorità. E anche se ufficialmente il governo non sembra aver fatto mea culpa, è certo che l’India non è famosa per la capillarità e la solidità delle sue infrastrutture. Basta dare uno sguardo alle strade: gruviere di asfalto (quando non di terra) su cui l’anno scorso hanno perso la vita 130 mila persone, il 60% in più della Cina, dove però ci sono quattro volte più auto.
Neanche il sistema fognario è degno di una «potenza globale», come l’India ama vedersi: solo il 13% degli scarichi prodotti dal suo miliardo e cento milioni di abitanti sono trattati. Parte della colpa sta nel mancato impiego di manodopera qualificata. Un’altra, è che il 4% per cento del Pil che Nuova Delhi investe per costruire strade, ferrovie, dighe e centrali elettriche viene in parte fagocitato dalla corruzione. Anche grazie alle sollecitazioni dagli enti competenti, ora il governo dice di stare valutando come intervenire per salvare Jodhpur dal rischio di un’inondazione. Quali saranno i tempi, però, i ministri non l’hanno detto, anche se conoscendo i neghittosi tempi indiani c’è poco da star tranquilli. Se la terra nel frattempo resterà ferma, forse, quando a giugno in India arriveranno i monsoni, per la prima volta a Jodhpur faranno quello che non hanno mai fatto: pregare affinché non piova.
Da “La Stampa”