Il governo maldiviano ha indetto una riunione letteralmente straordinaria. Subacquea, per la precisione. In muta, armati di boccaglio e bombole d’ossigeno i ministri dell’arcipelago s’incontreranno prossimamente sott’acqua. Non per una gita istituzionale alla scoperta dei variopinti fondali del posto, ma per denunciare al mondo il rischio d’inabissamento che le Maldive corrono a causa del riscaldamento terrestre. Durante la riunione, attraverso gesti e lavagnette con pennarelli resistenti all’acqua, i ministri prevedono, infatti, di approvare un documento per chiedere una significativa riduzione delle emissioni di gas serra ai paesi membri dell’Onu che si riuniranno all’inizio dicembre a Copenaghen per trovare un accordo internazionale che sostituisca il Protocollo di Kyoto del 1997.
L’appuntamento sottomarino è previsto per il 17 ottobre e i preparativi fervono. A parte il presidente Mohamed Nasheed, che è già un abile sub, e un membro del gabinetto, che non potrà partecipare al meeting per problemi di salute, gli altri 14 ministri stanno prendendo lezioni di diving nei weekend. E se il training dovesse sembrare insufficiente, i principianti possono comunque star tranquilli: al meeting ognuno sarà affiancato da un militare e un istruttore subacqueo. Con l’innalzamento degli oceani dovuto allo scioglimento delle calotte artiche, ormai circa l’80 per cento delle Maldive si trova a meno di un metro dal livello del mare. Senza misure rigorose, le Nazioni Unite prevedono che dal 2100 l’eden tropicale dell’Oceano Indiano potrebbe iniziare a sparire dalle cartine geografiche.
Uno scenario apocalittico che mesi fa aveva spinto il presidente Nasheed a sostenere la necessità di trovare una nuova “patria” per i suoi 300 mila abitanti in India, Sri Lanka o Australia. Per ora, oltre ad organizzare meeting subacquei per dare visibilità alla piaga del suo paese, Nasheed sta dando il buon esempio ai paesi inquinanti. Intenzionato a rendere le Maldive il primo paese interamente ecosostenbile, ha varato un piano per la produzione di energia pulita. E, poiché le casse del governo sono a secco, ha proposto di finanziare il progetto con l’introduzione di una tassa di tre dollari al giorno ai turisti che vanno a svernare sulle spiagge di quella che rischia di diventare l’Atlantide dell’Oceano Indiano.