NEW YORK— Dieci anni fa Antonio Villaraigosa, allora consigliere comunale, condusse la battaglia per bloccare un progetto tanto audace quanto impopolare: riciclare l’acqua degli scarichi rendendola di nuovo potabile. Toilet to tap, dal water al rubinetto, secondo lo slogan allora coniato dai «contras», che la spuntarono. Ma oggi è proprio lui, il sindaco di Los Angeles, a proporre questa terapia-choc per la grande sete della seconda città americana. La prolungata siccità nel West americano che ha portato sotto i limiti di guardia le riserve idriche della California meridionale ha spinto prima il governatore Schwarzenegger e poi il sindaco Villaraigosa a proporre misure drastiche. Sulla base del piano appena presentato, gli abitanti di Los Angeles nei prossimi anni dovranno cambiare lavatrici, water, «cipolle» della doccia, passando a modelli che erogano meno acqua. E dovranno modificare le loro abitudini. Non ci sarà più acqua in libertà per innaffiare il giardino, lavare l’auto, fare il bagno al cane. Sarà una rivoluzione anche per le opere pubbliche: grandi parcheggi nei quali l’asfalto verrà sostituito da grate d’acciaio, in modo da consentire la raccolta delle acque piovane, urinatoi puliti a secco e, per gli spazi verdi, annaffiatoi «intelligenti»: niente spruzzi nelle ore più calde della giornata, quando l’evaporazione è maggiore, o se il barometro prevede pioggia. Ma, soprattutto, il piano appena approvato punta a rendere potabili ogni anno 20 miliardi di litri d’acqua che oggi finiscono nelle fogne.
Dal water al bicchiere, proprio come nello slogan: Villaraigosa ha cambiato idea ed è pronto a rischiare il suo futuro politico su un progetto che continua a inquietare molti, perché si è convinto che le tecnologie oggi disponibili consentono di rendere scarichi e liquami più puri dell’acqua distillata e perché entro pochi anni la grande sete della California non lascerà molte vie di scampo: non è possibile penalizzare l’agricoltura che assorbe il 70 per cento dell’acqua consumata, mentre le precipitazioni nevose sulla Sierra, le montagne che alimentano la California, continuano a calare e i bacini degli Stati a Nord e a Ovest, usati in passato per rifornire le città sul Pacifico, sono anch’essi mezzi vuoti o bloccati dalle leggi sulla tutela delle specie animali protette. Il piano non è solo un esercizio di calligrafia di politici che vogliono mostrarsi attivi: le tecnologie di depurazione sono ormai mature e un primo impianto-pilota è appena entrato in esercizio nella Orange County. È uno stabilimento nel quale l’acqua subisce tre diversi processi di depurazione — micro filtraggio per rimuovere corpi solidi e batteri, un’osmosi invertita per rimuovere gli altri microrganismi, il sale, i residui chimici e farmaceutici e, infine, un trattamento con raggi ultravioletti e acqua ossigenata per eliminare le ultime tracce di contaminazione.
L’acqua così rigenerata viene pompata nelle falde sotterranee dove, dopo l’ulteriore filtraggio del terreno, finisce nei pozzi artesiani che alimentano le case della California. Un sistema complesso e dai costi molto elevati: l’impianto di Orange County è costato 500 milioni di dollari, la sua gestione annuale ne richiederà altri 30 ed è in grado di trattare circa 250 milioni di litri d’acqua al giorno: il 10 per cento del fabbisogno della contea. Quello di Los Angeles può apparire un caso-limite, ma le riserve idriche—tra aumento della popolazione e cambiamenti climatici — cominciano a scarseggiare un po’ ovunque. L’acqua gratis o quasi sarà presto un ricordo. Dovremo cambiare le abitudini di consumo e servirà molto senso civico. In tante parti d’America questa rivoluzione dei comportamenti è già una realtà: l’anno scorso, quando la Georgia fu colpita da una grande siccità, il governatore Sonny Perdue chiese ai cittadini di ridurre i consumi del 10 per cento. Nel giro di un mese il sistema idrico dello Stato registrò un calo della domanda addirittura del 15 per cento. E a San Antonio, nell’arido Texas, i consumi idrici attuali sono gli stessi di dieci anni fa, anche se la popolazione è cresciuta del 30 per cento.
Merito degli investimenti in risparmio idrico fatti dalla città e dalle imprese locali: il parco acquatico di Sea World ha imparato a risparmiare 80 milioni di litri d’acqua l’anno, mentre Frito-Lay, che aveva bisogno di 16 litri d’acqua per produrre un chilo di patatine fritte, ore riesce a farlo con 8. Attanagliati dagli alti costi dell’energia e dall’impennata dei prezzi delle derrate agricole, arriviamo esausti a quest’ennesima emergenza. «Ma è proprio quella dell’acqua—avverte il presidente dell’Earth Policy Institute, Lester Brown — la battaglia decisiva: ognuno di noi ogni giorno assorbe quattro litri d’acqua, mentre per produrre gli alimenti con i quali ci nutriamo questi quattro litri vanno moltiplicati per 500. È chiaro che, se non affrontiamo il problema, il futuro ci riserverà non solo problemi di forniture idriche ma anche una crisi alimentare ». Se ne sono già accorti in Cina, dove il raccolto di frumento è calato del 15 per cento in dieci anni perché le terre del Nord sono sempre più aride.
Da “Corrieredellasera.it”