Acqua e agricoltura: la crisi dimenticata

L’acqua, la crisi dimenticata. Segnalo un articolo e un tema su cui riflettere: nel giro di 25 anni non avremo più abbastanza acqua per le necessità agricole.

Un tema urgente almeno quanto i cambiamenti climatici, la crisi alimentare, la crisi energetica. Però Science Daily, sollevando il problema, fa notare giustamente che su tutto il resto circolano notizie ed è alta l’attenzione. Sull’acqua no.

Possiamo anche discutere sulle soluzioni proposte da Science Daily. Sulle proporzioni della crisi idrica, però, c’è da discutere assai meno.

Già da tempo si sa che in molte parti della Terra c’è crescente scarsità di acqua: vale soprattutto – ma non solo – per i Paesi del Sud del mondo dove la gente non ha cibo a sufficienza.

Ebbene, calcola Science Daily: ogni caloria di cibo richiede all’incirca un litro d’acqua per essere prodotta; un’alimentazione di tipo occidentale implica il consumo quotidiano di 2.500-3.000 litri d’acqua al giorno.
Aggiungerei che l’acqua necessaria alla produzione del cibo è molta, molta di più se teniamo conto di tutta quella utile per le lavorazioni e per gli alimenti più “complessi”. Una semplice tazzina di caffè richiede l’uso di 140 litri d’acqua. Dietro un chilo di carne ci sono addirittura 16.000 litri d’acqua.

Se facciamo questo calcolo, un americano “mangia” in un giorno circa 6.850 litri d’acqua. Un italiano, circa 6.390.
Ma lasciamo perdere il resto, e seguiamo il ragionamento “minimalista” di Science Daily. Dunque: se è vero che entro il 2030 la popolazione sulla Terra aumenterà di altri 2,5 miliardi di persone, dovremo trovare altri 2.000 chilometri cubi di acqua dolce per sfamarci tutti.

Un’impresa per niente semplice: ora la produzione del cibo assorbe 7.500 chilometri cubi d’acqua dolce che già fatichiamo a trovare.

Bisogna usare l’acqua in modo più razionale, suggerisce Science Daily, e migliorare la “produttività dell’acqua” costruendo infrastrutture, dighe e sbarramenti.

A questo mi permetterei di obiettare. Più una diga è grande e “produttiva”, più ha un pesante impatto ambientale. Sicurezza, sedimenti che

si accumulano nei laghi artificiali, intere popolazioni che vengono spostate…

Preferirei un’altra strada. Innanzitutto, m

a non solo, prendere finalmente coscienza della necessità di fermare l’incremento demografico. Però facile a dirsi qui in Occidente dove un figlio è un “costo”; difficile a farsi nel Sud del mondo, dove un figlio è un “investimento” perchè già piccolissimo lavora e procura più del pane che a lui serve per mangiare.
Poi, ridurre il consumo di carne e prodotti animali. Sono ben poche, al mondo, le mucche che pascolano erba.
Le mucche vengono nutrite e ingrassate con granaglie che potrebbero benissimo sfamare noi umani. E la “resa proteica” della carne è ben poca cosa: infinitamente minore alla somma delle granaglie che l’hanno costruita.
Del resto, tre o quattro generazioni fa, a tavola la carne era rara. Non mangiare carne, o mangiarne assai poca, è fare un piacere innanzitutto agli uomini. E non (solo) agli animali.

Via Blogeko