Circa la metà dell’acqua incanalata nelle reti di distribuzione della Penisola non arriva nelle case degli italiani. Sfiora il 45% il tasso di dispersione idrica degli acquadotti (30 punti in più rispetto a Germania a Inghilterra). Le condizioni peggiori al Centro-Sud, dove alla scarsità della “materia prima” si aggiunge una rete colabrodo.
E lo spreco istituzionalizzato costa caro. Una vera e propria bolletta supplettiva per la collettività di circa 5 miliardi di euro, per ogni famiglia un aggravio di 200 euro. Tutta colpa di reti vecchie, mancata manutenzione e carenza di investimenti a lungo termine. “Secondo la nostra analisi – spiega Alessandro Marangoni dell’Agici, società di consulenza alle aziende di pubblica utilità – i risparmi derivanti dall’utilizzo delle materie plastiche nella costruzione di acquedotti, reti idriche ma anche fognarie si attesterebbero per gli enti locali intorno agli 85 miliardi di euro”. Interventi non più rimandabili se ben il 42,5% degli attuali acquedotti e il 31,6% delle fognature sono in condizioni tali da dover essere sostituiti in un arco temporale di 50 anni.
Con nuovi impianti costi più contenuti
Sostituire i materiali esistenti e costruire reti in plastica procura un minore impatto ambientale. Lo ha calcolato l’Agici, secondo cui produrre un chilometro di tubature in materiale plastico piuttosto che ferroso permette di risparmiare, a seconda dei diametri, l’emissione di 33-249 tonnellate di Co2. Ulteriori benefici dal minor impatto di trasporti e cantieri. I tubi plastici poi sono più economici di quelli ferrosi: 800 milioni di euro in 50 anni è il risparmio per gli acquedotti, 5,9 miliardi per le fognature. Anche i costi dell’installazione risultano più bassi: 4,4 miliardi di euro è il risparmio per gli acquedotti e 16 miliardi per le fognature.