Beni comuni. Referendum Acqua

In Lombardia un gruppo di Comuni ha deliberato di chiedere alla Regione una consultazione per far restare pubblico il ciclo integrato idrico

“L’acqua del Sindacoâ€? non si tocca e tanto meno si privatizza: sono ormai più di 100 le amministrazioni lombarde che hanno votato nei loro Consigli comunali la delibera che chiede alla Regione il referendum abrogativo della legge 18/2006 sull’acqua, quella licenziata nell’agosto del 2006 che separa la gestione delle reti dall’erogazione del servizio idrico e che, secondo i Comuni, di fatto “privatizzerebbeâ€? l’acqua.

A guidare questa cordata bipartisan (“E’ una battaglia di civiltà, non di partitoâ€? assicurano) che si sta spendendo ormai da mesi per abrogare almeno in parte una legge ritenuta “assurdaâ€? e “incostituzionaleâ€? (il Governo l’ha impugnata davanti al Consiglio di Stato), c’è il Comune di Cologno Monzese, nella persona dell’Assessore all’educazione ambientale Giovanni Cocciro.

“L’iter per indire del referendum abrogativo ha già avuto inizio – precisa – perché secondo lo statuto della Regione basta che ne facciano richiesta 50 comuni. Arrivati a quota 50 infatti siamo stati convocati dal Presidente del Consiglio Regionale Ettore Albertoni, ma abbiamo deciso di non fermarci con la raccolta di adesioni, per dare più forza alle nostre richiesteâ€?. E magari per rispondere anche all’Assessore Buscemi, che vi aveva bollato come uno sparuto gruppo di disturbatori? “Certamente, i suoi tentativi di minimizzare la questione sono assolutamente inutili. Può anche dichiarare alla stampa che “Nessuno vuole privatizzare un bel nienteâ€?ma se si parla di bancabilità riguardo all’erogazione e di gare di appalti per aggiudicarsi la gestione idrica dell’ultimo miglio si privatizza eccome.

E privatizzare l’acqua significa consegnare un bene pubblico agli umori degli operatori privatiâ€?. Rispedite al mittente Buscemi anche le accuse riferite ai costi presunti dell’operazione, ben 5 miliardi di euro secondo l’Assessore regionale, “assolutamente molto meno, perché quella cifra non è per nulla realisticaâ€? assicurano le amministrazioni comunali.

Da Roma intanto Alfonso Pecoraro Scanio ha fatto sapere in una nota del 16 ottobre scorso che il Ministero dell’Ambiente “Per quanto di competenza, ritiene che il modello di gestione pubblica e non privata costituisca lo strumento più utile (…)â€?, precisando comunque che “Ogni soggetto che a qualsiasi titolo partecipi alla amministrazione del servizio idrico si ritiene debba mantenere e perseguire l’obiettivo di garantire il diritto all’acquaâ€?.

“La preoccupazione maggiore – prosegue Cocciro – oltre al fatto che i cittadini rischiano di trovarsi a pagare bollette molto più care è che in Italia si possa assistere a situazioni limite come quella che si verificò in Inghilterra dove a cominciare dal 1989, sotto la guida di Margaret Tatcher, si privatizzò l’acqua: dopo 1 anno, 1 milione e mezzo di famiglie erano state espulse dal diritto all’acqua perché non potevano pagare le bollette, nel frattempo triplicateâ€?. Dopo una lunga battaglia capitanata dalle associazioni dei consumatori, la questione fu portata davanti alla Corte Costituzionale inglese che sancì il diritto all’acqua, obbligando la società a intervenire sulla sospensione delle risorse idriche. La società quindi decise di montare un contatore nelle case degli inadempienti che, tramite una card, dava diritto all’erogazione di 50 litri d’acqua al giorno, quantità quotidiana pro capite minima stabilita dall’Organizzazione mondiale della Sanità. “Calcoli – precisa però Cocciro – che una famiglia italiana mediamente consuma dai 250 ai 280 litri d’acqua al giorno. In Inghilterra con la privatizzazione dell’acqua fu sancita la disuguaglianza sociale. Vogliamo fare la stessa fine anche in Lombardia?â€?.

E.P.