Diritto di tutti o servizio che si può privatizzare: il dibattito è caldo. Ma il problema è sistemare la rete. Un costo molto alto: chi lo pagherà?
Via le mani dall’acqua. Nei giorni scorsi il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare per la “ripubblicizzazione del servizio idrico”. “Ci servivano 50 mila firme, ne abbiamo raccolte oltre 400 mila” racconta Fabrizio Consalvi, della segreteria operativa “grazie alle decine dei comitati spontanei nati in tutta Italia. L’acqua è un diritto e chi la gestisce deve rispondere ai cittadini, non a un consiglio di amministrazione”. Oggi molti comuni gestiscono le risorse idriche tramite società miste; i comitati, invece, sono contrari a qualunque forma di partecipazione privata: “Basti pensare che anche in una società per azioni al 51% pubblica, il comitato esecutivo è formato da due rappresentanti dei privati e da uno solo del pubblico; o che nelle decisioni del consiglio di amministrazione deve essere d’accordo almeno un rappresentante del privato” continua Consalvi.
La polemica si trascina da tempo e Mauro D’Ascenzi, presidente aggiunto di Federutility (la società che raggruppa oltre 550 spa che gestiscono l’acqua in Italia: in pratica quasi tutte le ex municipalizzate) “è senza senso: l’acqua è un diritto di tutti, ma per assicurare questo diritto occorrono molti soldi. O ce li mette lo Stato, recuperandoli dalle tasse, o si deve permettere a società industriali (pubbliche o private lo decidano gli enti locali) di organizzare un servizio efficiente”.
I soldi, quindi. Secondo Federutility, nei prossimi trent’anni serviranno 61,6 miliardi di euro per riorganizzare il sistema idrico nazionale. Il dato è nella terza edizione del Blue Book, appena pubblicato: un rapporto basato sull’analisi dei “piani d’ambito”, cioè le proposte di pianificazione delle società che gestiscono l’acqua. Di questi, 17 miliardi occorrono per sistemare gli acquedotti, 19,4 per gli impianti di fognatura e depurazione. Secondo il rapporto, i fondi pubblici saranno pari a 6,9 miliardi. Il resto dovrebbe essere coperto da un aumento delle tariffe: +26% in tredici anni, per arrivare a un costo medio di 1,51 al metro cubo (tariffa comunque più bassa della media UE). La legge di iniziativa popolare propone invece di trovare finanziamenti tagliando del 5% le spese militari ma, dicono, qualunque altra proposta è ben accetta. I costi di gestione variano da una regione all’altra: i più alti sono in Liguria, con 796 euro per abitante; i più bassi sono in Umbria, con 353.
Da “Io donna”