Coltivare nel deserto, gli scienziati mostrano la strada

Varietà di mais che per crescere necessitano di un minimo apporto di acqua. Oppure pomodori o riso in grado di assorbire l’acqua con molta più parsimonia della media: è uno dei settori in cui sono più impegnati gli scienziati nel mondo e di questo, e in generale dell’industria dell’agricoltura come possibile motore per la crescita e la ricchezza dell’Africa, si è parlato nel corso dell’Agroforum 2008 promosso dalla EMRC (Expanding business linkages worldwide) e dalla Fao, in cui 25 Paesi si sono dati appuntamento dal 18 al 20 giugno per discutere dell’aumento della domanda di cibo (e del consequenziale aumento dei prezzi a livello globale), della necessità di un’agricoltura che utilizzi paradigmi differenti e di scarsità dell’acqua. Nel mondo, infatti, il 70 per cento dell’utilizzo idrico è destinato al settore agricolo. E se in Europa c’è una disponibilità media per ogni cittadino di 150 litri d’acqua al giorno, in Africa si fa fatica ad arrivare ai 10 litri giornalieri. Sempre nel Continente Nero le famiglie spendono circa il 10 per cento del proprio introito complessivo nell’acqua, laddove in occidente il consumo è quasi gratuito.
Coltivare nel deserto
COLTIVAZIONI IN CONDIZIONI DI SCARSITÀ D’ACQUA – In questo contesto la ricerca è da tempo impegnata nello sviluppo di piante tolleranti alla malattie e bisognose di meno acqua. Durante la conferenza dell’EMRC Jennifer Thompson in rappresentanza del direttore dell’African Agriculture Technology Foundation, Mpoko Bokanga, ha presentato una nuova varietà di mais che, diversamente dalle specie note che hanno un fabbisogno idrico altissimo, necessita di pochissima acqua. E considerato che in Africa l’80 per cento del consumo di mais è destinato all’alimentazione umana, la scoperta potrebbe avere un impatto molto significativo.

ARABIDOPSIS THALIANA – Ma su questo fronte di ricerca – piante poco assetate – è attiva anche l’Italia. I ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Milano, coordinati da Chiara Tonelli, si occupano infatti dello studio di geni che regolano la risposta delle piante alla siccità e all’alta salinità nel terreno, con lo scopo di migliorare la tolleranza a questi stress. «Le sperimentazioni sono iniziate sulla pianta Arabidopsis thaliana (di cui è stato sequenziato il Dna), che possiede una serie di vantaggi ideali: piccole dimensioni, ciclo vitale breve (circa sei settimane), elevata produttività di semi (fino a 10mila semi per pianta), ridotte dimensioni del genoma. Successivamente sono stati isolati alcuni geni deputati alla gestione di una serie di processi e tra questi ne sono stati scelti due in particolare che, se espressi, diventano cruciali nella risposta alla carenza idrica», spiega l’esperta. Un gene permette alla pianta di crescere in terreni ricchi di sale, l’altro gene consente di assorbire il 30 per cento in meno d’acqua durante la crescita. I primi risultati del trasferimento alla coltivazione della tecnologia messa a punto sul modello sono promettenti: l’obiettivo è trasferire in piante come riso e pomodoro le conoscenze acquisite sulla Arabidopsis thaliana.

IL FUTURO DELLA SCIENZA – Di questo tema si tornerà a parlare a Venezia, dal 24 al 27 settembre, nel corso del Convegno The Future of Science. dedicato all’acqua e al cibo (Food and water for Life) durante il quale verranno divulgati importanti dati sul tema e verranno raccontate recenti scoperte che vanno proprio nella direzione dello sviluppo di piante resistenti alla siccità.

Da “Corriere della sera”