Energia in cambio di rifornimenti idrici; più specificamente acqua in cambio di gas metano e carbone. Quello che fino al 1991 (anno dello scioglimento dell’Unione sovietica) era un classico esempio di (moderno) dispotismo asiatico nelle Repubbliche sovietiche centroasiatiche (Kirghizistan, Tajikistan, Uzbekistan e Kazakistan), oggi rischia di diventare il centro di un nuovo conflitto regionale, però con inquietanti ripercussioni internazionali.
Questo spiega perché si guardi con preoccupazione al surriscaldarsi della crisi in corso tra i Paesi del bacino del Syr Darya, uno dei maggiori corsi d’acqua dell’Asia centrale. Il fiume nasce nelle alture nevose del Kirghizistan, scorre a valle attraverso il territorio del Tajikistan e le sue acque servono a alimentare le colture in Uzbekistan e in Kazakistan (dove sfocia nel Mare di Aral).
I rapporti tra questi Stati sono ancora regolati da quanto fu deciso il secolo scorso dai pianificatori sovietici: le infrastrutture per la produzione idroelettrica (bacini artificiali e dighe) furono programmati in Kirghizistan e Tajikistan e dovevano essere funzionali all’irrigazione delle grandi culture (soprattutto cotone) in Uzbekistan e Kazakistan. I Paesi a monte, in inverno, erano compensati per il maggior prelievo di acqua attuato a valle in estate mediante cessione gratuita di gas (dall’Uzbekistan) e di carbone (dal Kazakistan). L’inverno appena passato è stato durissimo con lunghi periodi in cui in Tajikistan e Kirghizistan -entrambi Paesi che, a differenza dei vicini, non possiedono nè gas, nè petrolio- le temperature sono scese sotto zero. Ma l’Uzbekistan -rivendicando debiti pregressi- ha ridotto, e in alcuni periodi sospeso, il rifornimento di gas metano di cui è gran produttore a entrambi i vicini.
La settimansa scorsa, quando gli abitanti di Samarcanda e delle pianure meridionali dell’Uzbekistan cominciavano ad affrontare il grande caldo, da Bishkek -capitale del Kirghizistan- è arrivata la minaccia di ridurre il flusso del Syr Darya, la cui acqua «è necessaria per riempire i grandi bacini» (più di 23 chilometri cubi) che servono a produrre energia elettrica in inverno. Sulla stessa linea si è schierato il Tajikistan. Il “rubinetto” può essere tenuto aperto solo in cambio di gas e carbone. Il Kirghizistan rilascia, attraverso il suo sistema di bacini 11 milioni di metri cubici di acqua verso l’Uzbekistan e il Kazakistan. «I primi tre milioni di metri cubici saranno gratuiti, il resto dovrà essere pagato».
Il presidente kazako, Nursultan Nazarbayev, si è detto disposto a dare una quota di carbone, il suo omologo uzbeko Islam Karimov (ex burocrate sovietico, in carica dal 1990) ha risposto con un deciso nyet.
Da “Il Messaggero” del 24 giugno