Due giovani architetti italiani (con il MIT) hanno creato a Saragozza il primo edificio dalle pareti fluide modificabili a seconda dell’esigenza. E TIME l’ha già proclamata migliore invenzione dell’anno
Un edificio d’acqua. O meglio, con pareti fatte d’acqua. Cascate “magiche” che programmate da un computer, si articolano in scritte e disegni. E se ti avvicini, si apre automaticamente un varco, lasciandoti passare senza bagnarti. All’interno, il box di vetro dell’ufficio turistico e panche per la sosta all’ombra, al fresco, allo sciabordio dell’acqua. Quando poi l’edificio non serve, il getto si interrompe e il tetto scende, riducendosi a una pedana sul selciato: solo il box di vetro rimane su.
E’ il padiglione di acqua digitale che l’anno scorso, quando era ancora in fase progettuale, TIME ha proclamato Migliore invenzione del 2007 e che ora, finalmente realizzato, debutta all’entrata dell’Expo di Saragozza 2008.
E’ la prima volta che l’acqua digitale entra nella storia della architettura come materiale da costruzione, al posto di mattoni e calcestruzzo , spiega Carlo Ratti, professore di Architettura e urbanistica al Massachusetts Institute of Technology di Boston: il suo studio torinese ( carlorattiassociati – walter nicolino & carlo ratti), firma insieme al MIT il padiglione spagnolo.
La tecnologia era nota da tempo, è stata brevettata in America vent’anni fa, ma poi ha avuto un uso limitato. Applicarla agli spazi urbani offre nuove possibilità, perchè rende gli edifici più fluidi, adattabili a esigenze diverse interattivi.
Ratti continua “Abbiamo già ricevuto varie richieste dai Paesi del Golfo e dal Las Vegas: luoghi non a caso dove l’acqua scarseggia ed è un bene prezioso. A Kwait City, ad esempio, vogliono costruire un grattacielo albergo con lobby alta quattro piani aperta all’esterno e rivestita da una cortina d’acqua. Noi abbiamo controproposto un intera facciata d’acqua. Anzi un intero edificio: una torre evanescente, smaterializzata. E dove necessario chiudere le stanze con dei vetri, perchè ci sia l’aria condizionata, si può creare una doppia pelle, vetro più acqua.
Ma cosa è l’acqua digitale? Un sistema composto da migliaia di rubinetti disposti l’uno accanto all’altro su un tubo lungo il tetto dell’edificio che controllati da un computer posono essere aperti e chiusi molto rapidamente.
Il controllo veloce di questi ugelli crea dei pieni e dei vuoti nella caduta dell’acqua che formano scritte e disegni. Un po come una stampante a getto di inchiostro su grandissima scala. Lungo il tetto dell’edificio ci sono poi dei sensori, che all’avvicinarsi di qualcuno, interrompono la tenda d’acqua e aprono un varco: come le porte di vetro scorrevoli che si aprono automaticamente. L’acqua, che nel padiglione di Saragozza è pompata al ritmo di due metri cubi al secondo, è ovviamente riciclata: si perde solo quella che evapora. E il tetto non è fisso, ma sale e scende su dodici pistoni che scompaiono nel sottosuolo, per dare ancora più fluidità all’edificio. Che deve essere dinamico e interattivo al massimo: è di questi giorni l’installazione di un marchingegno che darà ai cittadini la possibilità di decidere via internet o sms le decorazioni da far comparire sulla cortina d’acqua. Così chiunque portà sentirsi anche un po’ architetto.
Quando chiuderà l’Expo, il padiglione diventerà un centro informazioni sulle future trasformazioni di Saragozza. Perchè la città fa sul serio. Dopo essersi già rifatta il look in occasione della grande fiera (nuovo anche un ponte si Zaha Hadid che è una vera ebbrezza) ha anche avviato il cosiddetto Miglio digitale: più di un chilometro e mezzo di polo tecnologico, da costruire nei prossimi anni nell’attuale area della stazione che verrà spostata un po’ più in la.
Ma, padiglione a parte, come utilizzare le potenzialità architettoniche dell’acqua digitale? E’ più adatta agli spazi pubblici che alle abitazioni private. Eppure funziona bene anche in terrazzi, cortili e loggie. E può diventare un eldorado perfino per gli artisti che, con migliaia di rubinetti a disposizione, possono creare immagini, messaggi…. e suoni montando microfoni sui getti d’acqua.
Un po’ meno di un secolo fa Le Corbusier scriveva “la civiltà delle macchine sta cercando la sua espressione architettonica”. Oggi cercare il proprio linguaggio in arcitettura è la civiltà digitale, che negli ultimi venti anni ha trasformato la nostra vita.
Da il Venerdi di Repubblica