Le «bombe chimiche» nascoste in un bicchier d’acqua

MILANO – Un bicchiere d’acqua o, ancora meglio, una piscina possono contenere vere e proprie bombe chimiche. E paradossalmente le sostanze tossiche che finiscono lì dentro sono sottoprodotti dei disinfettanti. Così, bevendo o nuotando in piscina, non si prende più il colera, ma si possono rischiare altri danni e persino un tumore. Il problema di fondo è che i disinfettanti, derivati del cloro, si combinano con materiali organici presenti nell’acqua e si trasformano nei cosiddetti Dbp, appunto i sottoprodotti della disinfezione. Che sono decine, sono tossici e non sono registrati perché di recente scoperta. L’allarme arriva dall’University of Illinois che ha appena pubblicato uno studio, che è durato dieci anni, su Mutation Research

DANNI AL DNA – I ricercatori hanno sviluppato speciali linee cellulari di mammiferi che permettono di analizzare la capacità di certi composti chimici di uccidere le cellule ( citotossicità) o di provocare danni al Dna (genotossicità o cancerogenicità). «Il nostro laboratorio – ha detto Michael Plewa coordinatore della ricerca – ha costruito il più grande database di questi composti “emergenti” e ha fatto due nuove scoperte che potranno aiutare l’Epa (l’agenzia americana di protezione ambientale) nel prendere le opportune decisioni». La prima scoperta riguarda i Dpb che contengono iodio. Quest’ultimo si trova nell’acqua di mare o nelle falde acquifere sotterranee che si sono formate dove probabilmente una volta c’era il mare. Se l’acqua contiene iodio, quando si disinfetta per la potabilizzazione, si possono formare Dbp con atomi di iodio. Questi sono più tossici e genotossici di quelli regolati dall’Epa. Seconda scoperta: i Dbp contenenti azoto sono più tossici, genotossici e anche cancerogeni di quelli che non lo contengono. E anche questi ultimi non sono oggetto di regolamentazione.

I NUOTATORI – Il problema, però non sta soltanto nell’acqua potabile. Piscine e vasche da bagno funzionano da reattori chimici per i Dbp. «In questo caso – commenta Plewa – il materiale organico è l’essere umano stesso. Le persone sudano, usano creme solari e cosmetici che poi finiscono nell’acqua (clorata), insieme a capelli e cellule varie. L’acqua viene poi riciclata e così si accumulano Dbp in quantità che possono anche essere dieci volte superiori a quelle contenuta nell’acqua del rubinetto. E che vengono poi assorbite attraverso la pelle o inalate. Non a caso alcuni studi hanno dimostrato, nei nuotatori abituali, un tasso di tumori alla vescica e di asma superiore a quello della popolazione normale. I più a rischio, per quanto riguarda le piscine, sono i bambini, più suscettibili ai danni del Dna. Per ovviare a questo problema emergente, visto che non si può non trattare l’acqua con disinfettanti che eliminano i batteri, è indispensabile trovare soluzioni alternative a quelle chimiche. E per quanto riguarda le piscine è necessario insistere sulla opportunità di fare la doccia prima di immergersi e di evitare creme o altri prodotti sulla pelle.

Da “Corriere.it del 8 aprile 09