UE: Basta deroghe per l’acqua all’arsenico

L’acqua che esce dai rubinetti bevuta dai cittadini italiani in molte parti del Paese è pericolosa. Non si tratta di una forzatura giornalistica ma di un’evidenza denunciata dai comitati che, da anni, si battono per una gestione migliore della risorsa idrica, (video) e che stanno portando avanti una lotta che scongiuri il controllo privato previsto dal decreto Ronchi. La conferma ora arriva anche dalla commissione europea che con una decisione presa il 28 ottobre scorso ha negato per diversi comuni (128) del territorio nazionale la possibilità di chiedere ulteriori deroghe ai livelli di sostanze nocive. Sebbene la Ue abbia detto basta ad altri rinvii, dopo tre settimane, nessuno ha comunicato ai cittadini che continuano a bere un’ acqua fuori norma e pericolosissima.
L’acqua che esce dai rubinetti bevuta dai cittadini italiani in molte parti del Paese è pericolosa. Non si tratta di una forzatura giornalistica ma di un’evidenza denunciata dai comitati che, da anni, si battono per una gestione migliore della risorsa idrica e che stanno portando avanti una lotta che scongiuri il controllo privato previsto dal decreto Ronchi.

La decisione della Ue

La conferma ora arriva anche dalla commissione europea che con una decisione presa il 28 ottobre scorso ha negato per diversi comuni (128) del territorio nazionale la possibilità di chiedere ulteriori deroghe ai livelli di sostanze nocive. In particolare il diniego della Ue riguarda i limiti di arsenico. La situazione è particolarmente drammatica in 91 Comuni del Lazio tra le provincie di Roma, Viterbo e Latina, in 8 Comuni della Lombardia, e in 10 del Trentino- Alto Adige. Anche altri 19 comuni della Toscana mostrano acque contaminate.

Il caso del Lazio

Ciò che succede in alcune cittadine a pochi km da Roma, dove la gestione è dell’Acea, è esemplificativo. Nel 2003 l’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) ha stabilito parametri molto rigidi sulla presenza di sostanze nocive, quando nel 2004 si cominciarono a fare le prime analisi si scoprì che l’acqua della cittadini dei Castelli romani conteneva livelli di Arsenico, Vanadio e Fluoro superiori ai limiti consentiti, questo perchè la zona è di origine vulcanica e le sostanze dopo una serie di combinazioni chimiche precipitano nell’acqua che viene pescata e poi condotta nelle tubature.

Arsenico sopra la norma

Soprattutto furono riscontrate tracce di arsenico di ben 5 volte eccedenti il consentito (in alcune zone della città si è arrivati a 50 microgrammi contro i 10 stabiliti). A questo si aggiunge che molte volte dai rubinetti esce un liquido terroso o addirittura saponato.

Deroga su deroga

Nel 2004, il sindaco di allora, chiese una deroga ai limiti alla Regione che poi passò la richiesta al Ministero della Salute, un atto che rimase in vigore per ben 2 anni in attesa di risolvere la situazione. Il 25 giugno 2009 l’Acea ha chiesto un’ulteriore deroga alla quale il Ministero della Salute ha risposto promulgandone un’altra senza scadenza. Tutto ciò in barba alla legge. Il 23 aprile dello stesso anno la deroga riguardava solo la presenza di Vanadio, rimaneva fuori dunque l’arsenico per il quale però il comitato non è riuscito ad ottenere i dati da parte della Asl che, appellandosi per lo più a motivi formali, non fornisce le giuste informazioni.

Cittadini disinformati ad arte

Adesso si scopre che sebbene la Ue abbia detto basta ad altri rinvii, dopo tre settimane, nessuno ha comunicato ai cittadini che continuano a bere un’ acqua fuori norma e pericolosissima, visto che l’arsenico e una cancerogeno di prima classe. Praticamente l’elusione della legge europea che impone la trasparenza e l’informazione adeguata per i cittadini. Come succede spesso, è iniziato il classico scaricabarile fra le autorità. Secondo il comitato Acqua pubblica di Velletri «le Asl affermano di non sapere nulla e non può essere così, i sindaci ugualmente hanno tenuta nascosta questa cosa, lo stesso l’Acea, e quindi esiste una colpevole omissione da parte di tutti questi soggetti per cui ora vale il limite di 10 mg litro che in molte parti del territorio è invalidato».

I danni della gestione privata

Ma al di là delle singole responsabilità su tutto pesa la gestione privatistica di Acea, società quotata in borsa sebbene fornisca un servizio pubblico. Per Astrid Lima del comitato Acqua pubblica di Velletri «se una società quotata in borsa rivela la sua debolezza sull’emergenza della potabilità dell’acqua, dovrebbe investire grandi capitali per creare e trovare le giuste soluzioni e non solo stressare gli acquedotti. Questo provocherebbe problemi sul mercato nel quale opera il gestore, quest’ultimo dunque non ha nessun interesse a fornire informazioni mostrandosi fragile con i competitori».

Da Agenzia Multimediale Italiana del 23 novembre 2010